La poesia riportata da Max Gordon, il fondatore del mitico Vanguard a New York, mi torna in mente spesso.
La trovo geniale: due sole parole che hanno il potere di evocare pensieri e riflessioni profonde. Forse è la profondità
nelle piccole cose che ho ricercato nelle mie esperienze, navigando sin da ragazzino tra la musica e la letteratura.
Più che la ricerca di un mero piacere, credo di aver avuto la necessità vitale di esprimermi in quei campi perché
impossibilitato a comunicare in altro modo.
Mi verrebbe da dire un bisogno esistenziale.
Ricordo il tempo delle canzoni in stile cantautorale, quasi tutte improntate alla depressione; ricordo il tempo delle poesie adolescenziali, più o meno sulla stessa lunghezza d’onda; ricordo il tempo dei racconti gialli e quello dei romanzi thriller, il tempo delle composizioni rock per il gruppo, il tempo dei concerti, delle composizioni jazzistiche, il tempo dei romanzi più maturi.
A ben vedere ho sempre mostrato due facce contrapposte, ma fuse insieme come quelle di una moneta.
Mi verrebbe da dire un bisogno esistenziale.
Ricordo il tempo delle canzoni in stile cantautorale, quasi tutte improntate alla depressione; ricordo il tempo delle poesie adolescenziali, più o meno sulla stessa lunghezza d’onda; ricordo il tempo dei racconti gialli e quello dei romanzi thriller, il tempo delle composizioni rock per il gruppo, il tempo dei concerti, delle composizioni jazzistiche, il tempo dei romanzi più maturi.
A ben vedere ho sempre mostrato due facce contrapposte, ma fuse insieme come quelle di una moneta.